Orchestra Filarmonica Campana

PASSAGGI INQUIETI

Tra Mozart, Beethoven e Mendelssohn vi sono degli spunti notevoli dal punto di vista musicologico.

Wolfgang Amadeus Mozart è il primo che, rifiutando di lavorare al servizio di un mecenate, sceglie la via della libera professione. Si deve tra l’altro a lui il modello perfetto del concerto per pianoforte e orchestra. Come Mozart, Ludwig Van Beethoven è tra le più importanti figure nella storia della musica. Egli chiude un’epoca segnando un momento di transazione tra il periodo classico e quello romantico e allo stesso tempo affermando – con successo – la libertà dell’artista, il quale è a servizio esclusivamente della propria arte. A Beethoven si deve la perfezione massima della forma-sonata e della sinfonia, le quali, non più concepite per un pubblico ristretto di aristocratici, si rivolgono per la prima volta a tutte le classi sociali riscattate dagli ideali della rivoluzione francese. Beethoven chiude gloriosamente il periodo classico, un periodo durato solo cinquant’anni ma incredibilmente ricco di capolavori ineguagliati. Nuovi periodi si apriranno in seguito con stili e linguaggi diversi, ma la forma-sonata, autentica invenzione dei musicisti classici, è destinata a sopravvivere con successo fino ai giorni nostri. Spostando l’attenzione su Felix Mendelssohn, i suoi contemporanei ebbero per lui un’ammirazione (quasi) senza riserve. Le generazioni a lui successive invece, in alcuni casi, lo declassarono a semplice epigono dello stile classico, un compositore convenzionale, prevedibile e calligrafico. E in effetti, con sguardo distaccato da questi luoghi comuni, si può definire un «classicista romantico»: al suo romanticismo erano completamente estranei gli aspetti più inquietanti del movimento, quelli tanto tipici del tormento interiore, della ricerca del mistero, mentre del classicismo mantenne il culto e il ripensamento dell’antico, la generosità dello slancio e dell’invenzione melodica, la loro simmetria e trasparenza, che erano tenute costantemente però sotto un rigoroso controllo. Anche i suoi tracciati armonici sono chiari, nitidi, facilmente leggibili, allo stesso modo delle sue strutture, che sono dotate sempre di una compiutezza formale. Le parole chiave della sua poetica sono eleganza, misura, equilibrio, che ha applicato con coerenza, e senza scendere mai a compromessi, all’interno di ogni sua partitura. Apriva alla musica nuove porte restaurando al contempo quelle vecchie. Proprio in questo contesto emergono i passaggi musicologici ed inquieti con cui troviamo connessioni tra lui e i classici Mozart e Beethoven. La caratteristica che distingue Beethoven da tutti gli altri musicisti che lo precedettero – a parte il genio e la forza senza eguali – fu che egli si considerò un artista e difese i suoi diritti d’artista. Mentre Mozart si mosse alla periferia del mondo aristocratico, battendo ansiosamente alle sue porte ma senza esservi mai ammesso, Beethoven, che aveva solo quattordici anni meno di lui, le spalancò con un calcio, conquistò d’assalto il posto che gli spettava e in quel mondo si senti a casa sua. Era un artista, un creatore, e perciò superiore ai re e ai nobili. Aveva una concezione decisamente rivoluzionaria della società e idee romantiche sulla musica. «Quel che ho nel cuore deve venire fuori e così lo scrivo» disse al discepolo Carl Czerny. Mozart non si sarebbe mai sognato di dire una cosa del genere, e neppure Haydn o Bach. La parola «artista» non si legge mai nelle sue lettere. Mozart e i compositori che lo precedettero erano abili artigiani che fornivano un prodotto e ai quali non veniva mai in mente di poter scrivere per la posterità o di fare dell’arte per l’arte. Le lettere e gli appunti di Beethoven sono invece pieni di parole come «arte», «artista». Era di una razza speciale, e lo sapeva. Sapeva anche di scrivere per l’eternità.