Orchestra Filarmonica Campana

CONTAMINAZIONI ARTISTICHE

Mike del Ferro, acclamato a livello internazionale e conosciuto soprattutto come il pianista di riferimento di Toots Thielemans, porta con sé un’eredità che si diffonde attraverso ogni nota che suona. La sua bacheca di trofei brilla di prestigiosi riconoscimenti, tra cui le massime onorificenze del Rotterdam Jazz Piano Competition, dello Europe Jazz Contest di Bruxelles e del Karlovy Vary Jazz Contest. Del Ferro ha collaborato con leggende del jazz come Toots Thielemans, Branford Marsalis, Jack DeJohnette e Randy Brecker. Il suo repertorio, che abbraccia oltre 20 album e generi diversi, dal Dixieland alla Salsa, testimonia la sua versatilità e il suo impegno nell’arte. Mike del Ferro non è solo un musicista, è un ambasciatore mondiale del jazz. Radicato nel duplice mondo dell’opera italiana e del jazz, il pianista italo-olandese ha sviluppato un progetto unico, Italian Opera meets Jazz, che pone l’accento sul repertorio belcantistico, presentando canzoni napoletane iconiche e arie di stimati compositori come Verdi e Puccini con un approccio che fonde l’opera e il jazz. Oltre che un’impresa musicale, questa iniziativa ha una risonanza personale per del Ferro, in quanto le composizioni selezionate, la maggior parte delle quali provengono da maestri italiani, hanno un significato profondo: suo padre ha interpretato proprio questi brani. Un’operazione artistica che implica anche a livello interpretativo una giusta combinazione tra l’eleganza e la poesia dell’opera con lo spirito rinvigorente del jazz; una sfida importante anche per i musicisti dell’Orchestra Filarmonica Campana che dovranno affiancare il maestro sapendo ben fondere tradizione e innovazione. La voce sarà quella di Claron Mcfadden, soprano che figura nel cartellone dei principali festival internazionali fra cui l’Holland Festival, il Festival di Salisburgo, il Festival di Aix-en-Provence, Bregenz il Budapest Festival, Settembre Musica a Torino. In questo gioco di contaminazioni continue vestirà anche lei allo stesso tempo i panni di una sorta di profetessa della lirica italiana e sacerdotessa della lotta di classe degli afroamericani. Tra inglese e italiano, parlato e cantato, la capacità del jazz di assorbire e rielaborare impulsi provenienti dalle più diverse culture (si pensi alle sperimentazioni caraibiche di Dizzy Gillespie, al Jazz samba di Stan Getz, alla ricerca sulle radici africane del Free Jazz, fino alla fusione col Pop-rock e alla world music degli ultimi decenni) ha fatto la fortuna del genere, consentendogli una durata più che secolare e una vitalità che non accenna a spegnersi, così come anche l’opera a pensarci bene.  Infatti essa è un fenomeno pulsante e vivo, con temi e situazioni contemporanee, dove nelle storie si mischiano le varie carte della drammaturgia. E allora ben venga ascoltare i vecchi “Verdi” e “Puccini” mettendoli in rapporto con un altro mondo, se da queste contaminazioni può nascere un diverso e rinnovato interesse per la musica classica e in senso lato per il teatro d’opera. La cultura, come la tradizione, non si preserva adorando le ceneri, ma alimentando il fuoco.