ECHI MEDITERRANEI
Si è finito per dimenticare che, accanto alle circa 150 colonne sonore allestite per i maggiori registi del secondo dopoguerra, il catalogo di Nino Rota annovera un significativo numero di composizioni cameristiche, di sinfonie e di musica sacra, da lui considerata l’apice della propria esperienza creativa. La musica non filmica rotiana, obliata e snobbata negli ambienti della musicologia cosiddetta ‘colta’, ha così stentato a trovare una riflessione estetica e analitica e, solo recentemente essa è stata riportata in auge con qualche tentativo. Non va poi dimenticato che la sopraccitata omogeneità nella parabola artistica ed esistenziale di questo compositore, rende inevitabile il confronto e rimando fra i due cataloghi anche per le continue e reciproche citazioni che vengono attuate e per i ‘prestiti’ che costantemente l’uno fa all’altro. Per poter passare dalla musica pura o assoluta a quella al servizio di altre arti o addirittura alle canzoni, Rota ha dovuto, e voluto, rendere la propria musica sempre fruibile e immediatamente recepibile e godibile da parte del pubblico. Per ottenere questo il suo modo di comporre è rimasto legato agli stilemi del passato, rifacendosi a volte a modelli quasi romantici. Il suo stile non ha mai risentito di tutte quelle novità, a volte clamorose e per certi versi destabilizzanti, che durante il 900 le avanguardie hanno introdotto nella musica per cambiarne e destrutturarne sia la forma che il contenuto. E anche nei Preludi ritroviamo questa poetica ma soprattutto quel lirismo espressivo che ha caratterizzato tutta la sua produzione.
Altro musicista di area mediterranea è Joaquín Turina, compositore e pianista spagnolo noto per aver mescolato elementi del folklore andaluso con influenze impressioniste francesi. Nato a Siviglia, ha studiato a Madrid e successivamente a Parigi, dove è stato influenzato da compositori come Debussy, Ravel e i suoi contemporanei spagnoli Albéniz e Falla. La musica di Turina è caratterizzata da ricche armonie, vitalità ritmica e un forte senso di nazionalismo spagnolo, spesso attingendo al flamenco e ad altri stili tradizionali andalusi. Le sue opere comprendono brani per pianoforte, musica da camera, opere sinfoniche e zarzuelas.
La figura di Astor Piazzolla appare sempre di più come uno degli snodi più interessanti della cultura musicale del novecento. La sua vicenda artistica è una delle tante possibili epitomi di un secolo in cui si sono incontrati (e scontrati), globalizzandosi, i linguaggi della musica, attraverso migrazioni e sovrapposizioni etniche e la diffusione dei mezzi di comunicazione a distanza. Argentino di nascita ma con quattro nonni italiani, Piazzolla passò gran parte dei suoi primi sedici anni a New York, vivendo con la famiglia nei pressi di Little Italy. Fu tra quegli artisti che pensavano che l’avanguardia affonda le radici nella tradizione ma che la tradizione stessa, senza una continua rilettura, sia destinata a rimanere una pianta sterile. Un musicista innovatore del 900, al confine fra i generi e le culture. Cambiò il suono di Buenos Aires ma la sua musica lungi dall’essere universale (è oggi in repertorio di molte orchestre ed ensemble classici) ha significato solo attraverso la sua interpretazione e il suo essere solista, e virtuoso, del bandoneon. “nella musica di derivazione popolare- scrivevano i due- l’interpretazione è l’opera stessa”. Un punto di vista importante, molto anticonformista.