Il Natale
Terzo ed ultimo appuntamento della rassegna Civiltà Musicali del 700’ Napoletano dedicato al tema del Natale. Diversi compositori della scuola napoletana vengono affrontati in questo appuntamento, a partire dal quasi dimenticato Alessandro Salvatore Speranza. Moriva più di due secoli fa moriva, cittadino dell’antica terra di Palma Campania, musicista rinomato, sacerdote integerrimo. Dopo un’esistenza trascorsa tra la stima generale degli abitanti della capitale del Regno di Napoli per i suoi indiscussi meriti musicali, come didatta e compositore di musica sacra, per diverse e facilmente individuabili cause è caduto nell’oblio: fenomeno questo non insolito, specialmente nel campo della musica, se si pensa a J. S. Bach e ad A. Vivaldi, per fare solo qualche nome. Nella Napoli illuminista del Settecento, sintesi di opposti stridenti scugnizzi e signorini, lazzaroni e santi, plebei e nobili, pezzenti e latifondisti, analfabeti e dotti, visse lo zelante sacerdote don Alessandro Salvatore Speranza. La sua musica rimane ancorata alle radici frescobaldiane e si rapporta, per certi aspetti, ai momenti paraliturgici delle Messe d’organo. E comunque non mostra ancora, contrariamente a quella coeva tedesca, una totale indipendenza dalla letteratura clavicembalistica con la quale, invece, condivide il proprio linguaggio. Allievo di Francesco Durante purtroppo Speranza è caduto nell’oblio a causa del fatto che la Storia della musica sacra settecentesca, e non solo, ancora oggi viene intesa o come storia della produzione musicale subalterna a quella operistica, o genericamente come storia della musica liturgica, che sfocia il più delle volte nella Storia del Gregoriano. Di conseguenza chi, come lo Speranza, si ritrova fuori da questi due parametri, viene escluso dalla memoria del relativo discorso musicale. Altro motivo che ha determinato l’oblio nel quale è stato impietosamente racchiuso Speranza, è il cambiamento di gusto e di stile della musica sacra e liturgica. Infatti entrambe queste espressioni, per il predominate gusto operistico, furono influenzate, anche nelle clausure, non solo dalla vocalità corrente e dalla struttura compositiva coeva, ma anche dallo spirito del melodramma imperante. Un elemento di grande prestigio nella vita di don Alessandro Speranza, comunque, è rappresentato dalla sua amicizia con s. Alfonso M. de Liguori. Si dà il caso che il nome del Santo oggi è spesso abbinato non ai suoi ponderosi scritti, e neppure alla sua santità, ma alla sua celebre nenia natalizia, Tu scendi dalle stelle, il cui tema è presente anche nella produzione pastorale di Speranza. Il rapporto tra il Santo e don Alessandro proietta sprazzi di luce su entrambi, e ciò facilmente si desume dal fatto che Speranza fu tanto stimato da s. Alfonso da richiederlo come maestro “straordinario” di musica per i suoi seminaristi, quando era vescovo di s. Agata dei Goti (Bn), e da sceglierlo per comporre la musica di qualche sua lauda devota. S. Alfonso, poi, scegliendo uno dei più stimati maestri napoletani dell’epoca per la formazione musicale dei suoi seminaristi, si mostrò fine cultore della musica, pensata al servizio della pastorale, ed attento educatore dei suoi futuri sacerdoti, per i quali cercò sempre il meglio di quanto offriva la platea. Nelle composizioni polifoniche Speranza adopera la tradizionale tecnica dell’alternanza del contrappunto imitativo con quello omoritmico, che diventa propriamente accordale-tonale in alcuni brani quale il Benedictus. Il contrappunto speranziano, talvolta – come accade anche in Durante e svariati altri compositori napoletani del Settecento – vuole gareggiare con quello esemplare di Palestrina, cui si fa esplicito riferimento con la formula alla maniera di Palestrina. In Speranza è il caso del Recordare Domine e del Christe eleison, in cui il senso tonale è alquanto incerto, mentre l’impegno modale è particolarmente avvertito. Le tecniche fondamentali del classico contrappunto rinascimentale vi sono rispettate: utilizzo di tanti pensieri musicali quante sono le espressioni testuali; l’imitazione nel senso più ampio del termine; l’impegno a far corrispondere le immagini letterarie alle figure retoriche musicali, inclusi i madrigalismi; l’alternanza di episodi imitativi con altri omoritmici.
Gaetano Greco insieme a Francesco Durante è, nella storia della musica napoletana del ‘700, un vero maestro, un formatore di generazioni di musicisti. Come Speranza, Fenaroli e lo stesso Durante, ha impegnato il suo ingegno essenzialmente in composizioni sacre e strumentali, evidenziando, rispetto al linguaggio strumentale dell’epoca, una genialità stilistica insolita e, rispetto a quello sacro, uno stile alquanto indipendente dal melodramma. Ebbe fra i suoi allievi, oltre Alfonso de Liguori, musicisti dello spessore di O. Piccinni, Porpora, Vinci, D. Scarlatti, e forse Pergolesi. Alla morte di F. Provenzale, ricevette l’incarico di maestro di cappella della città di Napoli. Riuscì a mantenere l’impegno fino al 1720, quando, per problemi di salute, fu sostituito dal Sarro. La musica strumentale del Greco, soprattutto di stampo clavicembalistico, si pone come modello all’intera scuola napoletana del primo Settecento. Purtroppo essa non ebbe quello sviluppo sperato, soprattutto per il cambiamento di gusto e di indirizzo della musica partenopea che, proprio in quel secolo, si orientò definitivamente verso il melodramma, facendolo diventare la forma musicale per eccellenza dell’Ancien Régime dell’intera Europa. L’importanza del Greco, come compositore di musica clavicembalistica, si può anche evincere dal rapporto che i critici instaurano tra la sua produzione e quella di A. Scarlatti, che egli richiama in particolari moduli compositivi. La sua musica toccatistica, infatti, manifesta ricchezza ritmica e brillantezza espressivamente napoletana, così tipiche nell’analoga produzione di Scarlatti padre.
Carlo Cecere nacque a Grottole in Lucania il 7 novembre 1706; non è certo tra gli autori barocchi più conosciuti, eppure la sua produzione musicale fu apprezzata quando egli fu in vita. Ottimo strumentista e contrappuntista di valore, scrisse anche opere buffe, su libretti e trama di Pietro Trinchera che non ebbero la fortuna sperata, e furono anzi oggetto di feroci critiche e reazioni, per i contenuti, valutati indegni e scandalosi. Nonostante le alterne vicende personali e musicali, l’attività di Cerere testimonia, insieme a quella di altri, la vitalità di Napoli quale centro musicale sulla scia di Alessandro Scarlatti (1660-1725). Il suo contributo, migliore e più significativo, resta – comunque – sul piano strumentale, con particolare alla scrittura per flauti. Morì a Napoli il 15 Febbraio del 1761.
Alessandro Scarlatti è ricordato tra i grandi maestri della cantata da camera italiana e i suoi brani, in questo genere musicale, quasi sempre trattano temi della mitologica antica; tuttavia quattro cantate sono incentrate sulla nascita di Gesù Cristo e sono state eseguite la vigilia di Natale presso il Palazzo Apostolico in Vaticano, alla presenza del papa e di numerosi cardinali. La prima di queste quattro, “Oh di Betlemme altera povertà” è stata eseguita il 24 dicembre 1695, le altre tre, “Abramo il Tuo sembiante”, “Alcene, ove per queste” e “Serafini al nostro canto”, rispettivamente nel 1705, nel 1706 e nel 1707. Basate sull’alternanza di arie e recitativi, le cantate riproducono melodie evocanti la tradizione del presepe, i suoni dei pastori che utilizzavano pifferi e zampogne. Dopo l’introduzione strumentale, ricca di echi pastorali, un recitativo loda Betlemme, fortunata per aver accolto la nascita di Gesù; l’aria “Dal bel sen”, col da capo, permette al soprano di esibirsi in vari ornamenti. Nella seconda aria la voce si intreccia con la bella tessitura di violino e viola; il recitativo rivolto ai pastori introduce l’aria conclusiva che include una ben nota melodia natalizia.
P. Paolo Saturno C.SS.R