La Madonna
Secondo appuntamento del progetto Civiltà Musicali del 700’ Napoletano dedicato al filone sulla Madonna. I brani scelti per il programma sono lo Stabat Mater di Pergolesi e il Salve Regina di Porpora. Completato, secondo una tradizione, della quale non e’ possibile appurare l’attendibilita’, il giorno stesso della morte, lo Stabat Mater e’ comunque una delle ultime opere, se non l’ultima, di Giovanni Battista Pergolesi che, quasi presago del triste fine che lo attendeva, cerco’ di portare a termine questo lavoro prima che la morte lo cogliesse alla giovane età di 26 anni. Per Pergolesi, infatti, portare a compimento lo Stabat Mater era quasi un obbligo morale, in quanto il compositore aveva gia’ ricevuto la somma di 10 ducati, come compenso per la composizione dell’opera, da parte del committente, l’Arciconfratermita Cavalieri della Vergine de’ dolori della Confraternita di San Luigi al Palazzo, che aveva deciso di sostituire il vecchio Stabat Mater di Alessandro Scarlatti. Eseguito ininterrottamente per circa vent’anni nelle chiese napoletana di San Luigi di Palazzo, sede della confraternita, lo Stabat scarlattiano, al quale questa composizione si richiama per la scelta dell’organico vocale, piuttosto insolito, in quanto costituito da un soprano e da un contralto al posto del classico quartetto (Soprano, Contralto, Tenore e Basso), era, infatti, ormai venuto a noia ai confratelli che avevano affidato a Pergolesi appunto la composizione di un nuovo Stabat. Le condizioni di salute del compositore non erano, tuttavia, delle migliori, in quanto la tubercolosi che lo avrebbe portato alla morte, aveva già minato in modo irreparabile il suo debolissimo fisico. Ciò nonostante un’atmosfera più salubre e di maggiore tranquillità per ultimare il lavoro, si trasferì da Napoli a Pozzuoli, dove nel convento dei Cappuccini fu ospitato e accudito negli ultimi giorni della sua vita. Qui terminò la composizione dello Stabat, che lo assorbì totalmente nonostante le condizioni di salute peggiorassero di giorno in giorno. Pergolesi, infatti, con straordinaria professionalità, si dedicò alla composizione dell’opera dall’alba alla sera, con la sola interruzione del pranzo indebolendo ancor di più la sua salute malferma. Nell’autografo della partitura, conservato presso la biblioteca del Monastero di Montecassino, è possibile rilevare una certa fretta di concludere da parte di Pergolesi che si dimenticò di stendere alcune parti delle viole e nell’ultima pagina scrisse Finis Laus Deo. Dal punto di vista formale quasi tutti i brani dello Stabat Mater presentano la classica struttura bipartita dell’aria da chiesa eccezion fatta per il quinto, Quis est homo, l’ottavo, Fac ut ardeat, che è un fugato, il nono, Sancta Mater, di forma tripartita, e il finale, che, come l’ottavo brano, è un fugato. Lo Stabat Mater, i cui punti culminanti sono costituiti dal brano iniziale, Stabat Mater, dove è descritto il dolore della Vergine davanti alla croce, dal Vidit suum, una commossa meditazione sulla passione di Cristo, e dal Quando corpus, nel quale si affaccia la speranza della Resurrezione, si è evidenziata per un’accorata cantabilità ed una musicalità appassionata che spesso ha fatto pensare alla produzione profana di Pergolesi. Pubblicato nel 1749 a Londra, lo Stabat Mater conobbe, però, una fortuna piuttosto contrastata, in quanto se, da una parte, è stata la partitura più ristampata in tutto il Settecento ed è stata apprezzata da Bach, che la utilizzò in parodia in una sua composizione, dall’altra è stata anche pesantemente stroncata dall’abate Martini e da Berlioz che la definì musica da incubo. L’accusa maggiore, che fu mossa al compositore dai suoi detrattori, fu quella di aver musicato un testo sacro con una musica di carattere lirico e profaneggiante che, secondo, il musicologo Combarieu, è ascrivibile più allo stile dell’opera che a quello della musica chiesastica. Il giudizio più equilibrato su quest’opera è stato formulato da Fabio Fano che ha scritto: “Con ciò è fuor di luogo accusare il Pergolesi di avere musicato il testo sacro con uno stile lirico e profaneggiante, perché tale stile è in sé pienamente armonico, salvo qualche lieve trascurabile stridore, ed è in complesso pervaso da un’accorata intimità”. Nonostante questi giudizi contrastanti lo Stabat Mater fu eseguito per tutto il Settecento in chiese, case private, con organici differenti modificati di volta in volta secondo le diverse condizioni; Paisiello, che probabilmente interpretò lo Stabat Mater in molte occasioni, intorno al 1810, quando aveva già settant’anni, decise di stendere in partitura una versione per un organico più ampio. Egli ampliò, in particolar modo, la parte strumentale sostituendo i due violini della versione di Pergolesi con un’orchestra formata da archi e legni e divise in due parti separate l’ultimo numero, il dodicesimo (Quando corpus e amen) che, nella versione originale, era unito. Per il resto Paisiello non si discostò dall’originale, come fecero altri compositori, in quanto lasciò inalterata la struttura della composizione e raddoppiò un’ottava sotto, nei passi in cui intervengono il tenore e il basso, le parti del soprano e del contralto, le uniche due voci presenti nella partitura.
Nicola Antonio Porpora nacque a Napoli il 17 agosto 1686. Studiò al Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo e fece parte dell’alta società della città, che dal 1707 al 1734 fu sotto la dominazione austriaca. Il primo incarico pubblico che occupò fu quello di Maestro di Cappella del principe Filippo d’Assia-Darmstadt. Al pari di molti altri compositori del suo tempo formati nei conservatori di Napoli, Porpora, viaggiò molto in Europa, tra Vienna, Venezia, Londra (dove fu chiamato per essere contrapposto a Händel) e Dresda. Dopo la prima tappa a Venezia, che era una potente concorrente musicale di Napoli, fu chiamato a Londra dai finanziatori dell’Opera della Nobiltà una compagnia teatrale, che cercarono di contrastare con il suo apporto la potente Royal Academy of Music di Händel. Il piano fallì, ma la fama di Porpora non ne risentì molto. Fu subito chiamato a Dresda, un vivace centro musicale, dove rimase per diversi anni come direttore della musica di corte. Poi fu a Vienna, la capitale imperiale, dove diede lezioni di canto a nobili dame; anche il giovane Joseph Haydn, che all’epoca si ingegnava a fare l’insegnante di musica, il violinista e l’organista, divenne allievo di Porpora, e addirittura gli fece da valletto in cambio delle sue lezioni. Porpora fu uno dei principali rappresentanti della scuola operistica napoletana, un compositore all’avanguardia che contribuì allo sviluppo del dramma per musica negli anni tra il 1720 e il 1730. Fu anche insegnante presso i conservatori napoletani di Loreto e di Sant’Onofrio. Morì nella sua città natale il 3 marzo 1768. Al centro della produzione di Porpora vi sono opere, oratori e cantate, mentre la musica strumentale vi occupa uno spazio minore: da ricordare in particolare un incantevole concerto per flauto e un concerto per violoncello che richiede grande virtuosismo. Stilisticamente, Porpora si lascia il tardo barocco alle spalle e apre al primo periodo classico. Le composizioni di Porpora sono nel classico stile napoletano, caratterizzate da un fascino che ammaliava immediatamente il pubblico. Le sue melodie tenevano sempre conto delle possibilità vocali del cantante, soprattutto quelle del suo campione, Farinelli. Il maestro sapeva come costruire arie che mettessero il virtuoso nelle migliori condizioni per ottenere il massimo. Al tempo stesso, però, era lui a dipendere dal successo del suo pupillo; alla fine dei conti, e nonostante i grandi meriti di Porpora come autore, è stato Farinelli a dar fama alle arie di Porpora più di quanto queste ne abbiano dato al cantante. Porpora nel “Salve Regina” svolge il ruolo di cerniera tra la scuola napoletana e Venezia, poiché il Salve Regina è stato composto probabilmente per una allieva dell’Ospedale degli Incurabili di Venezia, dove il compositore lavorò per alcuni anni a partire dal 1725. Per la bravura richiesta all’interprete, l’antifona di Porpora può essere considerata un saggio delle tecniche vocali contemporanee e dei metodi di ornamentazione.
Riccardo Viagrande