Orchestra Filarmonica Campana

La Passione

Il prossimo 8 Ottobre partirà il progetto Civiltà Musicali del 700’Napoletano che svolge la sua azione culturale nel quartiere di Marianella, presso la Chiesa San Giovanni Battista, adiacente la cappella e casa natia di S. Alfonso. La rassegna concertistica, curata dall’Orchestra Filarmonica Campana, prevede 3 eventi, programmati tra ottobre e dicembre, che sono sviluppati attorno ad uno specifico argomento sacro: La Passione, La Madonna, Il Natale. La musica era molto diffusa nella società napoletana del settecento, tanto da costituire una necessità per l’intera popolazione e in tutti gli avvenimenti pubblici, privati e funzioni religiose era sempre presente. La città eccelleva in particolare per la musica sacra e in questo contesto merita di essere annoverato anche S. Alfonso, nato a Marianella e allievo, come Vinci e Pergolesi, di Gaetano Greco, uno dei maggiori e influenti maestri della scuola napoletana.

 

In questo primo appuntamento, che vede fra l’altro la nascita in seno all’Orchestra Filarmonica Campana della sezione musica antica con l’ensemble di strumenti antichi Corrispondenze Armoniche, presentiamo il Duetto tra l’Anima e Gesù Cristo di Alfonso Maria De’ Liguori, la Cantata morale sopra la Passione di Nostro Signore “S. Fede e Peccatore” di Leonardo Vinci e la Cantata sacra “Maria e S. Giovanni a piè della croce” di Giovanni Andrea Valentini.

 

Per quanto concerne l’illustrazione del filone formale del Duetto di S. Alfonso, va subito detto che esso, pur venendo indicato con il nome di Canto della Passione o Duetto tra l’Anima e Gesù Cristo, è, in realtà, una Cantata. All’epoca, questa forma poetico-musicale veniva qualificata con aggettivi diversi, quali sacra, spirituale, morale. La Cantata spirituale italiana, rispetto a quella coeva tedesca di area protestante non è liturgica, in quanto non è inserita in un contesto liturgico in genere, né in quello della principale azione cultuale, che era e rimane, nella professione della fede cattolica, la S. Messa. E’invece, parenetica e devozionale, legata a particolari circostanze della vita religiosa popolare, quali via crucis, novene, esercizi spirituali ecc., o a determinati momenti dell’anno liturgico come quello natalizio e pasquale.

 

Alfonso M. de Liguori rappresenta nella storia della musica l’unico Santo che ha trattato la composizione musicale in stile popolare e dotto. Per quanto concerne la produzione dotta, egli ha il merito di aver stimolato l’indagine musicologica alla riscoperta di una forma musicale che, come araba fenice, tutti citano, ma quasi nessuno conosce: la cantata sacra o morale italiana. Il suo Canto della Passione, più comunemente conosciuto come Duetto tra l’Anima e Gesù Cristo ha stimolato musicologi come Magda Marx-Weber ad indagare sui suoi modelli. Per quanto concerne la produzione popolare, egli si è imposto come autore di un discreto corpus di laude scritte per l’edificazione e l’acculturazione spirituale delle popolazioni del Mezzogiorno d’Italia, continuando la tradizione poetico-musicale protocristiana orientale e occidentale, rinsanguata dall’apporto francescano, perpetuata con il contributo giustinianeo, rinascimentale e barocco. La produzione laudistica o canzoncinistica alfonsiana ha rappresentato il modello più esemplare di quella produzione devozional popolare che, facendo leva sul cuore più che sulla ragione, ha alimentato la spiritualità delle masse non solo di formazione redentorista, ma ecumenica, e ne ha incrementato la produzione fino al Vaticano II.

 

Il piccolo capolavoro poetico-musicale alfonsiano resta comunque, in senso monteverdiano, un modello di perfetta aderenza tra poesia e musica e, in senso wagneriano, il primo modello di unità estetica di parola e musica provenienti da una sola penna. È in questi due aspetti, congiunti al sublime fascino del testo poetico e di quello musicale, che deve ricercarsi, la specificità e la peculiarità di questa composizione, che rimane, nel suo genere, un autentico gioiello del repertorio musicale sacro universale, e l’unico esemplare di una pagina di musica impegnata e colta di un santo. Nella versione scelta per questa esecuzione il Duetto tra l’Anima e Gesù Cristo, pur rispettando scrupolosamente la linea melodica delle parti scritte dal Santo compositore, si allontana non poco dalla realizzazione del basso continuo di Federico De Liguori, che, nella tradizionale sua versione, ha decisamente pensato al pianoforte e non al clavicembalo, tramandandoci, di conseguenza, una scrittura talvolta ineseguibile sullo strumento di s. Alfonso. Il compito filologico di riportare il sostegno armonico del piccolo capolavoro alfonsiano nell’originale fisionomia, se lo ha assunto il suo figlio spirituale, il M° Alfonso Vitale. Sotto il profilo poetico, in particolare, la poesia alfonsiana è decisamente più personale, sentita, vibrante, autentica delle altre due, le quali, al contrario, non sembrano allontanarsi troppo da una convenzionalità modulare, che tradisce un malcelato mestiere, generatore, talvolta, anche di un senso di pesantezza se non addirittura di tedio. I versi del Santo risultano essere espressione sincera di una meditazione partecipativa alla Passione del Cristo; rifuggono da orpelli che ne indeboliscono il contenuto e ne bloccano lo sviluppo del pensiero; evitano ripetizioni che ne appesantiscono il testo e ne allentano la successione delle immagini. Sotto il profilo musicale, il santo compositore nel suo Canto della Passione anticipa di circa un secolo l’atteggiamento dei Romantici, i quali creano nuove forme musicali o adattano quelle preesistenti all’esigenza del loro spirito.

 

Leonardo Vinci rappresenta nella storia della musica, e in particolare del melodramma, l’operista che inalveò il melodramma in quella struttura che dominò nella prima metà del Settecento e ne determinò la decadenza: successione di arie (con da capo variato) e recitativi, predominio del canto sulla strumentazione, virtuosismo canoro sulla drammaticità, squilibrio tra testo poetico e testo musicale. La sua espressione musicale sacra, a differenza di quella di Alfonso de Liguori, , non è immune da vistose influenze del linguaggio musicale profano, soprattutto melodrammatico. Ascoltando questa cantata sacra, si potrebbe legittimamente pensare ad una sopravvivenza, anche in questa forma, come d’altronde nel coevo oratorio, del vecchio travestimento spirituale della lauda. Fu allievo al Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo dello stesso maestro di Alfonso de Liguori, G. Greco. Scrisse opere serie anche su libretti di Metastasio: Artaserse, Siroe, Didone abbandonata, Catone in Utica, Semiramide, Alessandro nelle Indie, ma soprattutto nove commedie musicali. Con la prima di queste, Lo cecato fauze, ebbe un grande successo e con l’ultima Le zite in galera, l’unica rimasta, è stato riconsacrato alla notorietà grazie alla sua esecuzione al Maggio Fiorentino nel 1975 per interessamento di Roberto De Simone. Fu presente nei teatri di Napoli, Roma, Venezia e Londra. Morì in tanta miseria a causa del gioco –nel quale avrebbe impegnato anche gli occhi, come riferisce il cronista Chezzi –, che per i funerali fu necessario l’intervento di una nobile ammiratrice, la sorella del’Eminentissimo Ruffo.

 

Il maggiore intento di Vinci è, come sottolinea Renato Bossa, la ricerca espressiva dell’affetto: il risalto della melodia comportava –afferma il musicologo – la prevalenza data da un timbro sopranile, che recava in sé, nell’estetica del tempo, soprattutto nel caso dei castrati, la massima identificazione con l’idea di purezza melodica e la cui irrealtà drammatica valeva appunto a sottolineare l’universalità dell’affetto. Giudizio confermato dal Metastasio che, della musica di Vinci sottolinea la grazia, l’espressione e la fecondità. Conseguenze di questo intento sono: l’assenza di cura contrappuntistica, che al contrario caratterizza il linguaggio musicale del contemporaneo Leo, e la mancanza di modulazioni e figurazioni complesse. Vinci, che può definirsi il musicista metastasiano per eccellenza prima di Hasse e che, per questa sua collaborazione con il maggiore poeta della sua epoca, è diventato il musicista più noto del suo tempo, definirà, come si è detto sopra, lo schema del melodramma settecentesco in una successione di arie e recitativi, mentre Metastasio ne fisserà la definizione testuale. La composizione si articola nelle consuete due arie precedute dai recitativi e seguite dal duetto finale che, in parte, richiama i concertati conclusivi del contemporaneo melodramma. È evidente, in essa, la cura belcantistica abbinata spesso a intenti virtuosistici tanto nella voce del soprano, quanto in quella del basso. L’assenza di intenti impegnativi strumentali è oltremodo chiara, tra l’altro, anche nella soppressione della parte del violino II nell’aria del basso. Per conferire a tutta la pagina vinciana un impegno maggiore strumentale, il M° Lupo Ciaglia, ha rielaborato in forma obbligata i recitativi secchi, e ha completato l’organico d’archi con la voce della viola, assente nella partitura originaria.

 

Giovanni Andrea Valentini rappresenta una delle più alte espressioni della numerosa schiera dei musicisti francescani, i quali, non solo hanno fatto la storia della musica francescana e sacra ma, in qualche modo, anche di quella profana. Le sue composizioni, in auge dal Settecento fino alla metà dell’Ottocento, gli testimoniano la stima e la considerazione dei loro fruitori. Valentini, ritenuto uno splendido esempio della scuola contrappuntistica italiana del tardo barocco, è un compositore capace, come Vivaldi, di utilizzare scrittura scorrevole, ritmo incisivo e brillante, strutture ben definite con effetti di forte-piano anche in architetture grandiose; la sua produzione è influenzata dai fasti della scuola napoletana ed è caratterizzata nell’uso dei contrasti dinamici, vocali e strumentali; manifesta insolite abilità nello stile concertato per voci e soli archi, o voci e insieme di archi e fiati. La composizione, scritta nel 1748, si articola nella struttura consueta delle due arie precedute dai rispettivi recitativi e seguite dal duetto finale. Una peculiarità di questa pagina vibrante di fede e manifestante insolite abilità linguistiche per coinvolgimento e brillantezza, talvolta però un po’ troppo di maniera, consiste nel presentare il primo recitativo in forma di duetto in stile contrappuntistico, cui segue la relativa aria. Altra particolarità è data dalla quasi sistematica mancanza della sezione strumentale introduttiva alle varie parti cantate, che, però serve a calare l’ascoltatore in medias res. La costante presenza della quartina di semicrome, tanto nella parte vocale quanto in quella strumentale, tradisce chiare suggestioni vivaldiane.

Paolo Saturno C.SS.R