OSSESSIONE ED ESTASI
Al francese Maurice Ravel nessuna delle correnti tra fine Ottocento e inizio Novecento gli è estranea, ma da nessuna si lascia completamente coinvolgere, rimanendo sensibile ma in fondo elusivo verso tutto ciò che lo circonda, quasi a proteggere in un “jardin féerique” la bellezza e la purezza della musica. Un uomo ambiguo e malinconico, geniale, riservato, spesso vanesio, ossessivo ed estatico, sempre però dedito a un genio vissuto non solo come dote, ma anche e soprattutto come appassionata ed estrema vocazione. La poetica di Ravel, accetta la materia che gli offre la cultura accademica o qualsivoglia cultura del passato, deformandola, grazie ad una intelligenza musicale sovrana, e colorandola di preziosità tecniche con risonanze che vanno dall’ossessione all’estasi, dalla insinuazione alla fusione, alla provocazione, dalla sensualità alla caricatura, dalla nostalgia al sentimentalismo. Ne nasce, in Ravel, una recherche atta a dimostrare l’inafferrabilità del passato, sul quale, per fatalità, il presente suscita un’azione contaminante. Tale disposizione estetica viene attuata dalla eterofonia che Ravel apprese dai suoi prediletti: Chopin e Liszt e, entro questo giardino, la Russia di Rimsky-Korsakov, la Spagna, l’etnofonia ebraica, il clavicembalismo di Scarlatti e Couperin, l’amato Mendelssohn, Saint-Saëns, le canzoni popolari, il jazz, Gershwin, il caffè concerto delle grandi metropoli e, se si deve scrivere un valzer, Johann Strauss.Vi è in Ravel un altro elemento continuo che fa riferimento alla ricerca, ovvero una musica dove l’io si arrende, una musica atta a modellarsi continuamente ma con una persistenza di fondo. In questo senso la tecnica musicale e lo stile si elaborano sulla continuità del discorso musicale, che assume le caratteristiche di una musica ossessiva e sensuale. Le punte acide, armoniche o coloristiche e i virtuosismi gelidi non trattengono il musicista da un cammino, eminentemente inattuale e volto, in ultimo appello, a ritrovare proposte e contatti di fondamentale continuità. Fondamentale la questione della forma, cioè il rapporto tra forma e schema, esempio straordinario di questa eleganza obbligante è la Pavane: tema convenzionale ma elementi contrappuntistici che risultano fondamentali. Ovviamente, la timbrica orchestrale acquisisce la sua importanza. Nel famosissimo Bolero, l’iterazione ossessiva del motivo affidato per lo più ai fiati, e ritmato dalle leggere percussioni, sembra intrattenere l’ascoltatore in un limbo sensoriale che sfocerà poi nell’impennata sinfonica finale in cui pare che tutti gli strumenti vogliano rivendicare un loro ruolo. A costo di dissonanze e di disarmonie in una sonorità globale che pone fine ad un lungo sogno. Ma c’è anche molto Oriente nelle musiche di Ravel e nello stesso Boléro. Gran parte dei musicisti francesi che, a cavallo del diciannovesimo e ventesimo secolo, fecero della Francia una delle patrie della musica “colta”, subirono il fascino del lontano e misterioso Oriente. E’ il caso di Shéhérazade, dove invocazioni al viaggio e richiami al senso del mistero diventano sensualità pura, come richiede il fascino dell’esotico e la litania del desiderio. Infine, tornado al Bolero, è musica che ti è entra sotto la pelle e vibra oltre a lasciarti in dote l’eredità di un disordine magico e sensuale