Orchestra Filarmonica Campana

Romanticismo Europeo

Il legame tra William Shakespeare e la musica classica è sempre stato fertile, basti pensare alle musiche di scena di Felix Mendelssohn per Sogno di una Notte di Mezza Estate op.61, l’ouverture Othello op.93 di Antonín Dvořák, il celeberrimo balletto Romeo e Giulietta op.64 di Sergej Prokof’ev. Oppure, per non allontanarsi troppo, al nostro Verdi che sentiva un’affinità tale con Shakespeare da chiamarlo nelle sue lettere “papà Guglielmo” e che scrisse tre delle sue migliori opere basandosi su drammaturgie shakespeariane, cioè MacbethOtello Falstaff. Uno dei più rigogliosi frutti di questo legame è l’ouverture-fantasia Romeo e Giulietta del compositore russo Pëtr Il’ič Čajkovskij. Questa pagina, considerata giustamente il primo autentico capolavoro di Čajkovskij, ha avuto una genesi particolarmente travagliata. Innanzitutto, senza nulla togliere al genio di Čajkovskij, bisogna dire che questo brano deve molto a uno dei compositori del celebre Gruppo dei Cinque, Milij Balakirev, che suggerì sia l’idea di una composizione ispirata alla tragedia shakespeariana sia la struttura generale del brano. Inoltre solo Balakirev riuscì a persuadere Čaikovskij a rielaborare l’ouverture in diverse versioni: la prima stesura risale al 1869, ma già l’anno successivo la mano del compositore intervenne pesantemente sulla partitura; l’ultima versione – quella comunemente eseguita oggi – è del 1880, anno in cui l’autore riscrisse il finale del brano. Il Romeo e Giulietta è una composizione che, pur risentendo dell’influenza di diversi compositori conserva un’intelligente intuizione di fondo: conciliare le esigenze della forma-sonata con la caratterizzazione tipica di una rappresentazione drammatica attraverso una sapiente architettura musicale.

La Sinfonia n. 9 di Dvorak è il primo lavoro “americano” e ultima delle sue Sinfonie, essa appare permeata dalla nuova atmosfera nella quale si trovò a vivere il compositore, che affermava: «Mi piace molto e si distingue in modo sostanziale dalle mie precedenti composizioni. Certamente l’influenza dell’America può esser sentita da chiunque abbia un naso». E ancora: «Credo che la terra americana influenzerà in modo benefico i miei pensieri, e potrei quasi dire che qualcosa del genere si sente già nella nuova Sinfonia». Sin dalla sua prima esecuzione, avvenuta alla Carnegie Hall di New York il 16 dicembre 1893, la Sinfonia “dal Nuovo Mondo” ebbe un successo enorme e acquistò da allora una grandissima popolarità nel repertorio sinfonico. Molti vollero vedervi, equivocando, una musica piena di sentimenti patriottici, costruita su melodie della tradizione popolare negra o indoamericana, salutando addirittura la nascita di una scuola nazionale statunitense, è vero che Dvorak fu molto attratto da alcune musiche americane, soprattutto dagli spirituals («nelle melodie dei neri d’America ho potuto trovare tutto ciò che serve a una grande e nobile scuola di musica. Esse sanno essere patetiche, tenere, appassionate, malinconiche, solenni, religiose, vigorose, amabili allegre […] Non vi è nulla in tutta la varietà del comporre che non possa essere detto con questi temi») e dai songs di Stephen Collins Poster, che aveva conosciuto grazie al giovane cantante di colore Harry Burleigh. Ma nella sua nuova Sinfonia non citò alcun tema e, pur condividendo l’idea che si trattasse di una “Sinfonia americana”, non voleva che si facesse troppo caso al titolo, aggiunto all’ultimo momento prima di inviare la partitura al direttore d’orchestra Anton Seidl che ne diresse la prima. Alla vigilia della prima, in un’intervista sul New York Herald del 5 dicembre, dichiarò: «È lo spirito delle melodie negre e degli indiani d’America che mi sono sforzato di ricreare nella mia nuova Sinfonia. Non ho usato neanche una di quelle melodie. Ho semplicemente scritto dei temi caratteristici incorporando in essi le qualità della musica indiana, e usando questi temi come mio materiale li ho sviluppati servendomi di tutti i moderni mezzi del ritmo, del contrappunto e del colore orchestrale».

Luca Fialdini/Gianluigi Mattietti